La “Convenzione o Trattato di Dublino III” del 2013 firmata dal governo Letta
(che fu il rinnovo di quello del 2003 firmato dal governo Berlusconi e
di durata decennale) è ormai all’ordine del giorno nelle cancellerie
internazionali e chi più chi meno ne conosce i termini e le motivazioni,
ma tutti ne conosciamo bene le ricadute sociali, economiche e
politiche.
Che l’Europa, sin dalla nascita, abbia cercato di governare l’immigrazione
all’interno degli Stati è un dato di fatto, e con l’inizio della libera
circolazione nel 1993 si è vista costretta a concordare nuove regole precise e comuni. Se all’inizio la migrazione era prevalentemente circoscritta
nell’area dell’Europa dell’Est, ora, con le destabilizzazioni nei Paesi
che si affacciano nel Mediterraneo sia africani che mediorientali, il
fenomeno dei “popoli in fuga” vede, come tutti ben sappiamo, l’Italia e la Grecia come primo approdo e quindi, come cita all’art.13 del Trattato: [...] lo Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale.
La cartina fotografa l’attuale situazione europea dopo la revisione fatta nel 2015, che disponeva una ripartizione per quote in percentuale dei migranti all’interno dell’Unione su richiesta dei Paesi del Sud europeo troppo schiacciati dalla pressione migratoria. La ripartizione si basava su 4 parametri: Pil, popolazione, livello di disoccupazione e rifugiati già presenti sul territorio.
In tre anni, come si può vedere dalle percentuali di accoglimento migranti
rispetto alle quote concordate, solo due Stati hanno addirittura
superato le quote - Irlanda 148% e Malta 128,2% - e anche la Svezia, la
Finlandia e il Lussemburgo viaggiano intorno al 90%, mentre il resto ha
completamente disatteso l’accordo; Polonia e Ungheria con zero migranti
in cima, come tutto il blocco dei Paesi dell’Est, e poi il Nord come
Olanda, Germania, Belgio, Francia con % imbarazzanti.
Che l’Italia sia stata “lasciata sola” come cita il titolo è
una realtà indiscussa e il braccio di ferro del nuovo governo italiano
sui respingimenti e sulla ricerca di una soluzione condivisa mette in
crisi i governi e in agitazione le cancellerie europee fino ad arrivare a
ventilare addirittura una dissoluzione della UE stessa. La percezione che l’Italia sia come una nave che naviga in solitaria è
molto forte e la necessità di riorganizzare, anche con nuovi fondi, per
poter meglio governare l’onda e non esserne travolti è assolutamente
prioritario.