INFOGRAFICA E DINTORNI

INFORMATION GRAPHICS E COMUNICAZIONE

La Calunnia e la fine del mondo di Sandro Botticelli

LA FINE DEL QUATTROCENTO E DELL'UMANESIMO. LA CRISI DI BOTTICELLI

La crisi artistico/esistenziale del Botticelli si presenta sul finire del secolo dell’Umanesimo il ‘400 e con l’avvento del nuovo secolo il ‘500. La morte a Firenze di Lorenzo il Magnifico (1492) e l'arrivo di un nuovo clima politico sociale incandescente che percorrerà tutto il ‘500 con gli attacchi ai costumi, alla cultura e all’arte del tempo trascorso da parte di Girolamo Savonarola e dei suoi seguaci, segna la fine del secolo dei sogni umanistici.

La crisi della società fiorentina di fine secolo sta proprio nello scontro tra Il Magnifico e il frate ferrarese che segna la conclusione di un’epoca, da una parte la fine della cultura e dell’arte neoplatonica accessibile alle classi più agiate e dall’altro nuove realtà anche di tipo politico e una certa nuova religiosità espressa attraverso opere “devozionali” e molto comunicative.

I vari "roghi delle vanità” messi in scena nelle piazze dai seguaci del frate innescarono nell’artista ripensamenti sulle sue opere che avevano dato vita ad una linea artistica così censurata e peccaminosa con minacce di giudizi divini e richieste di pentimenti ed espiazione pubbliche.

L’adesione di Botticelli alla dottrina di Savonarola fa seguito ad una crisi personale anche per la perdita di protezione e committenze e in sintonia con la crisi della società fiorentina per la distruzione delle certezze. Le difficoltà trovano espressione nel dipinto allegorico "La Calunnia” che rappresenta un po’ la svolta verso il credo savonaroliano di Sandro Botticelli che abbraccia questo clima di intimidazione e colpa e rappresenta anche un addio alla Firenze di Lorenzo il Magnifico.
In alto autoritratto di Sandro Botticelli 1475. La Calunnia. Tempera 1491/1495 Galleria degli Uffizi Firenze Italia

L’opera va letta da destra verso sinistra. L’artista inserisce il gruppo in una architettura con scene bibliche e di antichità classiche. A destra siede Re Mida, che trasformava in oro ciò che toccava, circondato da il Sospetto e l’Ignoranza che sussurrano insinuazioni. Il Re si tende verso un incappucciato che rappresenta il Livore accompagnato da una fanciulla che è la Calunnia che traina un giovane nudo in preghiera per i capelli con altre due figure di donne che sono l’Invidia e la Frode. Poi una vecchia con vesti logore che è la Penitenza che prende la scena e si rivolge ad una figura nuda che ricorda Venere che resta in disparte ed è la Verità.
Il tutto con forte senso drammatico in un vortice di movimento sferzato da vento impetuoso dove tutto si placa solo sull’immagine immobile della Verità, che anticipa il posizionamento, il movimento e delle nuove libertà nella composizione delle figure che troveremo negli artisti del ‘500.

Il sonno per la scienza rimane ancora un mistero

In passato c'era chi considerava il sonno un momento o un lasso di tempo tra la veglia e la morte. Certamente sappiamo che è una fase importante sia nell'uomo che nel mondo animale ma ignoriamo ancora perché il dormire sia una necessità fondamentale per la sopravvivenza e resta uno dei più grandi misteri della Biologia.

Dal punto di vista scientifico si sanno poche cose di base. Sicuramente si sa che il sonno produce dei segnali elettrici nel cervello di tutti gli esseri viventi e, che a differenza per esempio del letargo animale, e a seconda delle fasi, può essere interrotto. Si sa anche che nessun essere vivente può ostacolarlo e se costretti alla veglia il sistema va subito compensato con sonni "di recupero".

Infografica "Le fasi del sonno" @brunapisano_visual ©RIPRODUZIONE RISERVATA
 
Il primo circuito. Dopo una serie di esperimenti su animali e esseri umani molti ricercatori hanno identificato che il circuito regolatore della necessità di dormire sia sviluppato dall’orologio Notte/Giorno. Oggi sappiamo che il sonno è legato al funzionamento di questo orologio interno fatto di fibre e cellule nervose del cervello, con geni che si accendono e spengono reciprocamente ogni 24 ore circa regolando così gli ormoni del sonno. Questo orologio sintonizza il metabolismo al comportamento della rotazione terrestre e il suo ciclo si sincronizza attraverso dei segnali luminosi che provengono degli occhi, quindi al buio si dorme e alla luce si è svegli.

Il secondo circuito. La necessità di dormire è controllato e regolato da un altro circuito abbastanza misterioso e del quale gli scienziati ad oggi sanno ancora poco. Non si riesce a spiegare perché un neonato dorma 17 ore al giorno, un bambino dalle 9 alle 11 ore e un adulto dalle 7 alle 9 ore e perché il sonno degli anziani diventi così leggero spesso interrotto dalle veglie. E come la carenza di sonno influenza il metabolismo ormonale e il sistema immunitario.

Il bisogno di sonno varia molto da persona a persona e la privazione totale su alcuni animali ha portato entro breve tempo a rifiuto del cibo e alla morte, non ci sono indicazioni che questo avvenga anche tra gli esseri umani sta di fatto che quando è troppo scarso influenza il metabolismo ormonale e il sistema immunitario.
I neonati dormono 17 ore al giorno rispetto ad un adulto che dorme dalle 7 alle 9 ore

I Geni del sonno. Il  comportamento del sonno è anche regolato da centinaia di Geni ma individuarli tutti e legarli ad un determinato funzionamento è ancora oggetto di ricerca. Anche se la maggior parte degli animali dorme con i due emisferi del cervello è stato scoperto che alcuni soggetti in particolare in mare e in cielo, dormono solo con una metà del cervello sicuramente per mantenere uno stato di allerta davanti ai pericoli. Uno studio pubblicato su Nature Communications dimostra infatti che non solo gli uccelli sono capaci di sonno uniemisferico, ma che sanno mantenere la capacità di orientarsi e volare persino in fase REM, lo stadio del sonno che comporta la perdita completa di tono muscolare. Da questo si può dedurre che anche l'uomo primordiale avesse questa facoltà e che l'evoluzione nel tempo abbia eliminato questo elemento legato alla sopravvivenza e durante il sonno contrariamente a quanto si possa pensare il cervello non si "riposa" bensì continua a consumare molta energia anzi probabilmente di più del consumo della veglia che è del 20% dell'energia corporea. L'uso di questo consumo energetico è ancora misterioso si ipotizza che nel sonno il cervello resetti informazioni e nozioni acquisite durante la veglia per fare spazio a nuovi ricorsi acquisite durante la veglia.
Gli uccelli sono in grado di dormire durante il volo usando una parte del cervello

L'infografica Le Fasi del sonno. Quando dormiamo tutto il corpo riposa. La temperatura e la pressione sanguigna diminuiscono, la respirazione e il polso rallentano e la coscienza gradualmente si dissolve. Ma il nostro cervello rimane attivo. 

Stato di veglia/sonno. Da quando chiudiamo gli occhi, nel nostro cervello appaiono onde alfa, di frequenza compresa fra 8 e 13 hertz. Queste frequenze rappresentano un «barometro di rilassamento», e si manifestano anche durante l’ipnosi e la meditazione. Sappiamo anche che questi segnali non spariscono quando ci addormentiamo e che si presentano anche in altre fasi del sonno. 

Durante la notte ci svegliamo varie volte: è una cosa normale. Queste fasi di risveglio sono però così corte che il giorno dopo non ce ne ricordiamo più. Certe persone, una volta che si sono risvegliate, faticano però a riaddormentarsi. Esse ruminano sovente cattivi pensieri, di cui spesso è responsabile l’ormone del sonno, la melatonina: essa suscita senza dubbio una voglia di dormire, ma anche una forma di depressione.  

Stadio Uno. Dopo esserci addormentati, entriamo nella prima fase del sonno, nella quale il cervello riduce la sua attività. A volte si producono contrazioni muscolari, la cui causa ci è sconosciuta. Esse potrebbero avere svolto qualche  ruolo nei nostri antenati primati, evitando loro di cadere al suolo quando dormivano sugli alberi.

Stadio Due. Mentre i nostri muscoli si distendono e la coscienza si attenua, la registrazione dell’attività elettrica (EEG) presenta bruschi soprassalti chiamati complessi K. Si osservano anche fusi del sonno, sequenze rapide di onde ravvicinate la cui durata può raggiungere i due secondi. Nell’insieme le onde elettriche guadagnano in ampiezza ma perdono in frequenza. 

Stadio Tre. La tensione muscolare decresce di continuo e noi non percepiamo più il nostro ambiente. Appaiono delle onde delta, quelle dalla frequenza più bassa. Quanto più esse sono numerose, tanto più il sonno è profondo.  

Stadio Quattro. Questa quarta fase è costituita essenzialmente da onde delta. Noi siamo in uno stato di totale incoscienza e rilassamento. È difficile per noi risvegliarci in questo momento. Questo è il periodo in cui si può essere sonnambuli o parlare nel sonno. 

Il sonno paradosso. È chiamato anche sonno REM, Rapid Eye Movement  è dunque caratterizzato da rapidi movimenti degli occhi sotto le palpebre, da un aumento della pressione sanguigna e da un’accelerazione del respiro e del polso. Questa fase è spesso popolata di sogni vivaci e numerosi. La funzione dei sogni rimane discussa. Essi potrebbero servire a elaborare informazioni accumulate durante la veglia, a proporre scenari creativi per il futuro, e persino ad alleggerire la memoria. 

La perdita del tono muscolare. Il sonno paradosso si accompagna a una perdita totale delle contrazioni muscolari. Questa paralisi comandata dal cervello evita di trasformare il sogno in azione. I risvegli che possono presentarsi in questo stadio producono il sentimento sgradevole di non poter fare il minimo movimento. 

Il sonno è fondamentale per la vita sia nell'uomo che nel mondo animale

Il sonno è essenziale alla vita e resta ad oggi, nonostante tutte le ricerche scientifiche, un mistero inspiegabile. Ma oltre ad essere un groviglio di circuiti elettrici nervosi, una sincronia tra orologi interni e centinaia di Geni al lavoro il sonno è anche quel rifugio di ognuno di noi per desideri sconosciuti, ispirazioni, ricordi che il nostro cervello elabora immerso nell'oscurità della notte e spesso tra la veglia e il sonno può presentarci un mondo fantastico fatto di spunti illogici ma soprattutto produce e ispira la creatività con nuove idee da trasportare nelle nostre vite.  

Information Graphics. Bruna Pisano. @brunapisano_visual. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

I nuovi paesi Brics e la strategia del controllo marittimo

L’avvenimento più rilevante a Johannesburg è stato l'ingresso programmato dei sei nuovi paesi scelti nel folto gruppo di quelli che già avevano fatto domanda e legati dall'opposizione comune al sistema finanziario occidentale. 
I fondatori Brasile Russia India Cina Sudafrica hanno trovato un accordo su alcuni paesi molto diversi tra loro, ma con un grande fattore in comune: il mare. Sono tutti affacciati o limitrofi al mare e posizionati strategicamente sui principali "Choke Points” o Stretti marittimi, da dove transitano i commerci marittimi globali, perché da sempre chi controlla gli Stretti ed i canali, controlla gli scambi commerciali e gli equilibri dell’economia mondiale.
 

Per capire la motivazione della scelta basta vedere l’infografica e la posizione dei primi sei paesi in entrata Egitto, Eiopia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Iran e Argentina. Due in Africa, tre nel quadrante mediorientale e uno in Sud America. Il gruppo indubbiamente rappresenta una potente alleanza di economie emergenti con un notevole peso globale. Per quanto riguarda gli altri ingressi verranno convalidati nel 2024 al prossimo vertice a Kazan, la capitale russa del Tatarstan in Russia.

La strategia Brics dei Choke Points, l'infografica dei nuovi Brics e degli Stretti. Infograficapisano ©RIPRODUZIONE RISERVATA 

LA TALASSOCRAZIA E IL BLOCCO ANTI-OCCIDENTALE

Il più recente impero marittimo fu quello britannico con dominio militare e commerciale che diede il via ad una certa forma di globalizzazione. Oggi chi governa in maniera imperialistica le rotte del mare, sono gli Stati Uniti la Gran Bretagna e gli alleati, soprattutto grazie alla loro potenza militare e alla capacità politica di intervenire in maniera decisiva in questo delicato gioco di equilibrio. Tutto si poggia su storici percorsi navali, su Stretti e canali, mantenuti aperti e disponibile a tutti. L’ingresso nei Brics dei paesi affacciati sul mare e che mirano a far parte di un nuovo ordine multipolare, potrebbero accelerare la fine di un vecchio equilibrio e contribuire a disegnare un nuovo scenario del commercio che potrebbe rappresentare il capolinea della globalizzazione come la conosciamo oggi.


IL COMMERCIO MARITTIMO GLOBALE

L'80% degli scambi commerciali globali è di tipo marittimo e le tratte più importanti passano attraverso 6 Stretti maggiori. Questi punti di strozzatura sono passaggi strategici che collegano tra loro aree marine e registrano per la loro posizione ottimale elevati volumi di traffico navale. Sono anche considerati zone d’acqua critiche per molti fattori, quello strutturale per la loro conformazione, quello geopolitico perché aree vulnerabili a interruzioni o chiusure conseguenti a disordini politici e anche a rischio attacco delle piraterie che imperversano in quelle acque. 


GLI STRETTI PRIMARI, I PIÙ TRAFFICATI DALLE NAVI MERCANTILI

Malacca tra Malesia e Indonesia che collega il Pacifico e l'Indiano

Hormuz tra Oman e Iran che collega il Golfo Persico al Golfo di Oman

Bab el-Mandeb tra Yemen e Gibuti la porta d'ingresso del Mar Rosso

Suez in Egitto che collega il Mar Rosso al Mar Mediterraneo l'Africa e il Medioriente

Gibilterra tra Spagna e Marocco che collega il Mediterraneo all’Atlantico e al Mare del Nord

Panama nel cuore dell'America Centrale e collega l’Atlantico al Pacifico

Gli altri stretti minori e di tipo regionale

Il Bosforo ed il Dardanelli, entrambi situati in Turchia e determinanti per l’economia e la geopolitica della regione del Mar Nero. Lo Stretto di Sicilia, o canale Canale di Sicilia, situato tra Italia e Tunisia centrale nel traffico interno al Mar Mediterraneo.


LO STRETTO DI MALACCA

L’Indonesia delusa per il mancato ingresso nel primo blocco, resta in corsa. 

Lo Stretto è tra l’isola indonesiana di Sumatra e la Malesia ed è uno dei corsi d’acqua più critici dell’Asia. Fa da collegamento tra Cina, India e Sud-Est Asiatico, forse lo snodo più importante in assoluto per il traffico marittimo mondiale. Unisce l'Indiano al Pacifico e permette il passaggio attraverso il Mar delle Andamane al contestato Mar Cinese Meridionale, che è area d’influenza tra paesi antagonisti come Cina, Vietnam e Filippine e tutti affacciati su questo mare. Nel punto più piccolo è meno dello Stretto di Messina in Italia e, con una movimentazione di 37,3 milioni di container all'anno, registra un enorme rischio di collisione in navigazione per le 130 mila navi. La pericolosità del canale è data anche dall'assalto delle navi dei pirati che infestano da sempre le acque della Malesia.

Il porto di Singapore. La città-stato insulare di Singapore con il suo porto fu creata come un polo business regionale da Lee Kuan Yew che ottenne l’indipendenza dalla Malesia nel 1965. Oggi è diventato un ambiente imprenditoriale competitivo per le aziende che operano in Asia e che la posiziona al terzo posto nella lista dei centri finanziari globali dopo New York e Londra (Dati Gfci il Global Financial Centres Index l'Indice della competitività e influenza dei centri finanziari mondiali ). Si trova all’estremità meridionale della penisola malese e in una posizione strategica rispetto del ricco mercato della ASEAN l’organizzazione politica, economica e culturale di nazioni del sud-est asiatico che oggi conta 10 paesi  (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia e Vietnam) ed è la porta d’ingresso la regione Asia-Pacifico e verso la Cina. Il suo porto è primo al mondo per trasbordo, il più trafficato in termini di tonnellaggio marittimo e il secondo più grande dopo il porto cinese di Shanghai e punta a diventare l’hub crocieristico dell’Asia con strutture avveniristiche e che nel 2022 ha accolto 1,2 milioni di crocieristi. Nell'area Kuwait e Bahrein in attesa d’ingresso e interessati Pakistan e Afghanistan.

Base americana. Singapore, oltre ad aver ordinato 6 navi da combattimento alla Saab, ha autorizzato gli Stati Uniti a posizionare nella base di Changi quattro navi militari specializzate nel combattimento litoraneo e grazie a questa operazione la forza navale americana può controllare meglio l’accesso allo Stretto di Malacca, e gli Stati Uniti hanno un forte interesse a mantenere il controllo del passaggio.


Il porto della città-stato di Singapore il secondo mondiale per volume di scambio tra Malesia e Indonesia

LO STRETTO DI HORMUZ

L’Arabia Saudita, l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti ricchi paesi petroliferi dell'Opec. 

Con il loro ingresso di fatto vengono blindati i 60 km più importanti del mondo per il traffico di idrocarburi e cioè lo Stretto di Hormuz. Controllato principalmente dall'Iran, è il passaggio marittimo tra il Golfo Persico e Golfo di Oman che sfocia nel Mar Arabico. Il primo snodo cruciale per i combustibili diretti in Europa e nel Nord America. Con 21 milioni di barili al giorno è la rotta dei principali paesi esportatori di petrolio e in passato, come area critica, fu teatro di attacchi a petroliere e navi commerciali durante il conflitto Iran-Iraq.

Arabia Saudita-Iran-EAU. La recente pacificazione dell’area grazie alla mediazione cinese tra storici nemici come l’Arabia Saudita e l’Iran ha sconvolto il gioco delle vecchie alleanze e, soprattutto con la pacificazione in corso nell'area medio orientale e soprattutto nello Yemen, anche i potentissimi Emirati Arabi Uniti partecipano a questo passaggio storico. Arabia Saudita, Iran e EAU paesi dell’Opec e che insieme producono il 20% del petrolio mondiale dominano di fatto l’area dello Stretto di Hormuz punto chiave per il prezioso traffico internazionale di petrolio e gas. Nel Golfo Persico Kuwait paese Opec e Bahrein in attesa d’ingresso forse al prossimo vertice a Kazan, la capitale russa del Tatarstan in Russia nel 2024 e interessati anche Pakistan e Afghanistan.

Basi americane nell'area. Gli Emirati Arabi Uniti ospitano circa 2 mila militari nella base di Al Dhafra a Abu Dhabi dove sono presenti Caccia F-35 e sistemi di difesa aerea Patriot. Nel Qatar a Al Udeid c’è una delle basi militari più grandi di tutto il Medio Oriente con 11 mila militari, sede del Combined Joint Interagency TaskForce-Syria e del 379 Air Expeditionary Wing.  Nel Kuwait la base di Camp Doha e nel Bahrein la base Mina Salman è condivisa tra Usa e Gran Bretagna ed è da supporto alla Quinta Flotta ed entrambi i paesi hanno fatto richiesta d’ingresso nei Brics. 


Lo Stretto di Hormuz il passaggio tra la Penisola Arabica e l'Iran

LO STRETTO BAB EL MANDEB 

Etiopia e Egitto sono i due primi nuovi paesi africani ad entrare nei Brics.

Bab el Mandeb è tra la penisola arabica, lo Yemen e il Corno d'Africa e dalle due parti del canale la situazione è sempre stata molto instabile con una guerra in corso, ma che oggi risente positivamente di una stabilizzazione dello Yemen voluta dai sauditi e dagli iraniani. Lo Stretto è molto trafficato per il petrolio e il gas naturale tra l’Africa, il Medio Oriente e il Mediterraneo ed è la porta d'ingresso al Mar Rosso che finisce con lo Stretto di Suez. Da questa strettoia passa circa il 20% del traffico marittimo globale, con 20 mila navi all'anno e 4,7 milioni di barili di combustibili. Noto percorso di mare pericoloso anche per gli attacchi di navi pirata soprattutto somale.

L’Etiopia e Gibuti e la grande ferrovia. L'Etiopia è uno dei paesi più popolosi dell'Africa con un alto tasso di natalità, in crisi economica con un forte debito con il FMI, il secondo paese africano debitore verso la Cina. Confina con il piccolo paese che si affaccia sullo Stretto: Gibuti. Dal 2018 ha costruito una ferrovia di 756 chilometri Ethio-Gibuti che parte dalla capitale Addis Abeba e termina direttamente nel porto di Gibuti, ed è ad oggi il primo grande progetto ferroviario elettrificato di tutta l' Africa, gestito dalla joint venture di China civil engineering construction corporation (Ccecc) sotto China railway construction corporation (Crcc) e China railway group (Crec). Questa ferrovia ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo socio-economico dei due paesi, lo dimostrano i numeri della prima metà del 2023 con un +76% rispetto all’anno precedente, con trasporto oltre che di passeggeri anche di merci, con strutture refrigerate per i prodotti deperibili dal Porto di Gibuti verso l'interno e ha fornito vantaggi epocali non solo agli etiopi ma anche e ai paesi africani limitrofi. Tra l'Egitto e l'Etiopia in attesa di accedere al gruppo Brics c'è il Sudan, con una sanguinosa guerra civile in corso  che nel proprio porto a Bur Sudan vedrebbe, secondo trattative in corso con la Russia e osteggiate dagli Usa,  la costruzione della prima base navale russa in Africa.


IL CASO GIBUTI-IL CAVALLO DI TROIA DELL’AFRICA

Gibuti e le basi militari internazionali. Con quasi un milione di abitanti accoglie oltre 7 mila soldati stranieri in decine di basi militari che pagano un affitto al governo e che rappresenta il 3% del Pil nazionale. Decine di eserciti internazionali con la missione di tutelare i rispettivi interessi delle merci in transito.  AMERICANI sono 4 mila della Task Force Horn of Africa, con unità d'intelligence, bombardieri F15E, droni Predator e Reaper e pagano 56 milioni di euro/anno; CINESI sono 1.500 nell'unica base fuori dal territorio cinese e tutelano il passaggio del greggio sudanese e nordafricano, pagano 17 milioni di euro/annoFRANCESI sono 1.500 della Forces Francaises Djibouti (Ffdj)NIPPONICI sono 180 anche loro con la prima base militare fuori dal Giappone, pagano 5 milioni di euro/anno; ITALIANI sono in 90 con una base di supporto interforze in grado di ospitarne 300. ARABIA SAUDITA, GERMANIA, REGNO UNITO e SPAGNA si appoggiano alle basi militari esistenti dei paesi alleati, senza contare altri militari NATO. Un enorme esercito variegato col ruolo di “tutelare" gli interessi economici, anche con l’incognita di appartenere a paesi potenzialmente in contrasto tra loro, che creano tensione nell'area per l'alto rischio di intromissione politica e pressioni militari in contesti limitrofi come quelli del Medio Oriente o dell'Africa.


Lo Stretto di Bab El Mandeb tra Africa e Penisola Arabica la porta del Mar Rosso

LO STRETTO DI SUEZ

L’Egitto con 89 milioni di abitanti e in forte crisi economica e valutaria.

Lo Stretto è sul territorio egiziano ed è la via navigabile di 161 km che collega il Mar Rosso al Mar Mediterraneo e che riduce il viaggio tra Asia e Europa di 26 giorni sui 44 previsti evitando il Capo di Buona Speranza in Sudafrica. Nel canale il cui transito dura una media di 15 ore, si registrano 90 transiti giornalieri e le navi portacontainer navigano a circa un miglio nautico con una velocità di nove nodi, e soprattutto non hanno alternativa se vogliono essere competitive sul mercato. Lo Stretto di Suez, una delle vie d'acqua più importanti del mondo potrebbe, allontanandosi dal blocco occidentale a guida statunitense, allinearsi agli obiettivi e alle politiche del gruppo dei Brics e ha già indicato che pagherà nelle rispettive valute le importazioni da Cina, India e Russia uscendo dal dollaro.

L’Egitto. Dipendente dal grano russo/ucraino all’86% (dato 2020), nonostante abbia acquistato anche dagli Emirati Arabi Uniti, dalla Serbia e dalla Romania. Si ritrova in piena crisi economica valutaria e alimentare con l'inflazione al 21,9%. È un forte debitore del Fondo Monetario Internazionale, con la moneta precipitata del 50% sul $ e il Cairo a dicembre ha ottenuto un nuovo prestito dal FMI a fronte di richieste di politiche monetarie volte a ridurre l’inflazione. Questa adesione ai Brics mira ad allentare la crisi e ridurre il debito accedendo ai prestiti della banca del gruppo la New Development Bank (NDB) oltre che rafforzare i propri legami commerciali ed economici con i Paesi che ne fanno parte. L’ingresso di Egitto ed Etiopia potrebbe risolvere anche una lunga disputa della Grande Diga del Rinascimento sul Nilo Azzurro che attraversa anche il Sudan.


Il Canale di Suez il passaggio tra Africa e Medio Oriente unisce il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo

ALTRI IMPORTANTI STRETTI MONDIALI

LO STRETTO DI GIBILTERRA. 

In lista d'attesa per ingresso nei Brics il gigante energetico l'Algeria e la Tunisia. 

Tra Europa Spagna e Africa Marocco, lo Stretto è determinante nel traffico Europa/Atlantico e Asia/Nord Europa ed è controllato attraverso il promontorio chiamato Rocca di Gibilterra e che appartiene alla Gran Bretagna. Ogni anno circa 13 mila navi mercantili transitano, circa 35 al giorno in due direzioni, escluso il volume di traffico dei traghetti, cosa che lo rende uno dei tratti di mare più trafficati del Mediterraneo. Il principale porto del Mediterraneo è Tanger Med in Marocco con un movimento di 7,6 milioni di TEU nel 2022 con un +5,6% rispetto al 2021. Dopo la Brexit Gibilterra segna la frontiera dell’Unione Europea ed ancora considerato territorio esterno della Gran Bretagna uno dei tanti territori d’oltremare, dove i britannici decidono la politica estera, le relazioni esterne e le negoziazioni diplomatiche sono condotte direttamente dai rappresentanti del Foreign Office. Le trattative tra Londra, Bruxelles e Madrid non hanno a 7 anni dal referendum portato a nessuno risultato. Da oltre 300 anni Madrid prova a recuperare questo avamposto ma la resistenza la fanno anche i residenti come espresso in un referendum nel 2016. Dal 1713 infatti la Royal Navy installatasi nella Rocca controlla il commercio inglese nella regione e le tratte percorse da tutti i paesi dall’Atlantico al Mediterraneo oltre e fungere oggi da punto d’appoggio per le navi della Nato e della Sesta Flotta Usa e delle unità da guerra americane che sono libere di accedere alle strutture militari grazie al rapporto privilegiato anglo-americano. Per gli inglesi Gibilterra è rimasta l'ultima proiezione nel Mar Mediterraneo e resta fondamentale per Washington. Con la richiesta di ingresso nei Brics dell'Algeria membro Opec e Tunisia i rapporti di forza sul commercio marittimo e di influenza nell’area potrebbero mutare.


Lo Stretto di Gibilterra tra Africa e Europa che unisce il Mediterraneo e l'Atlantico

LO STRETTO DI PANAMA

Brasile e Argentina, nel 2024, paesi Brics nell’area. Hanno fatto richiesta Bolivia, Cuba, Honduras, Venezuela e interessati Messico, Nicaragua.

 È un canale artificiale di acqua dolce piovana e proveniente dalle foreste pluviali, una “scorciatoia” di vitale importanza, di circa 80 km di 3 chiuse con 6 conche, che permette alle navi di superare in 8/10 ore un dislivello totale di 26 m e navigare tra gli oceani Pacifico e Atlantico risparmiando 8 mila miglia nautiche da una costa all’altra degli Usa con meno di 21 giorni di viaggio. Nel 2022 ha registrato 14.239 transiti + 6,7% in più rispetto all’anno precedente, circa il 3% dell'intero traffico marittimo mondiale e gli Stati Uniti che incidono al 73% sul traffico annuale, hanno svolto un ruolo determinante nella costruzione e nell’amministrazione del canale hanno l’affitto perpetuo dello stretto.


I PORTI PIÙ TRAFFICATI E LE NAVI CONTAINER

Nella classifica mondiale del 2023 dei primi 30 porti container 11 sono in Cina.

Oltre agli Stretti essenziali sono i porti, in particolare quelli più trafficati del mondo, per la loro capacità di controllare il flusso di merci in entrata e in uscita, che fungono da partenza e destinazione finale con ampi punti di trasbordo.

 

La forza economica della Cina e dell’Oriente la si può dedurre dal numero di porti nella classifica mondiale Alphaliner 2023. I porti su trenta undici sono cinesi, tre americani Los Angeles/Long Beach, New York/Newark, Savannah, tre europei Rotterdam, Antwerp-Bruges, Amburgo, uno nel Mediterraneo Tanger Med in Marocco, uno in Medio Oriente Dubai/Jebel all, gli altri tutti in Oriente.


Nella Top Ten al primo posto il colossale porto container di Shanghai con un volume di 47,3 milioni di TEU nel 2022 +0,5%, segue Singapore (nello Stretto di Malacca) con 37,3 milioni di TEU -0,5%, seguono con % di volume rispetto al 2021 Ningbo-Zhoushan +6,8%, Shenzhen +4,3%, Qingdao +7,6%, Guangzhou +1,7%, Busan  (Corea del Sud) -2,9%, Tianjin +3,7%, Los Angeles/Long Beach (Stati Uniti) con 19,0 milioni di TEU -5,3%, e Hon Kong -7,0%. 


Il numero delle navi utilizzate è in continuo aumento con un totale di circa 100 mila imbarcazioni con stazza lorda maggiore di 100 tonnellate. La maggioranza dei container movimentati dalle grandi navi oceaniche sono strutture da 6 mt in lunghezza con portata 25 tonnellate (1 TEU) e da 12 mt di lunghezza (2 TEU), negli ultimi decenni l’utilizzo dei container è sempre aumentato e la “stazza" delle navi commerciali è stata resa compatibile con la necessità di attraversare proprio i canali e gli Stretti marittimi.


Il primo porto al mondo il gigantesco Porto di Shanghai in Cina. Foto Ji Haixin for China Daily

Information Graphics. Blogger Bruna Pisano per INFOGRAFICA E DINTORNI/infograficapisano.blogspot.com./@brunapisano_visual 
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La sfida dei 15 nel mercato globale dell'auto elettrica

L'ANNO DEI RECORD DI PRODUZIONE DELLE AUTO ELETTRICHE 

Il 2022 con la produzione di 10,3 milioni di veicoli elettrici è stato un anno record, con un aumento di 6,7 milioni rispetto all'anno precedente con una produzione mondiale concentrata all'80% nelle mani di 15 marche automobilistiche. 

LA BYD REGINA CINESE DEL MERCATO DELL'ELETTRICO


Nel 2021 la produzione della BYD, la casa automobilistica di Shenzhen, si era attestata a 598.019 auto, nel 2022 con 1.858.364 ha più che triplicato la produzione mettendo a segno il record di un +211% polverizzando di fatto la texana Tesla di Elon Musk, che con 1.314.319 auto prodotte nel 2022, ferma la performance a un modesto +40% rispetto al 2021. Ma il record è di tutto il blocco delle case automobilistiche Made in China che cresce in maniera esplosiva nel 2022, basta vedere i numeri della GEELY Auto Group che con un +251% segna la crescita di produzione mondiale più alta. Nel 2022 la somma delle percentuali di crescita delle case cinesi si attesta ad un +870% rispetto alla somma delle percentuali di crescita della case americane Tesla, GM e Stellantis che si ferma a un +87%.


Nell'infografica sono stati presi in esame ed elaborati i dati della produzione mondiale dei veicoli elettrici per visualizzare la classifica dei primi 15 marchi in base alla produzione 2022 e le % di crescita rispetto all'anno precedente

La sfida delle auto elettriche. Infograficapisano©RIPRODUZIONE RISERVATA
BYD Auto. Con la performance eccezionale del 2022 la casa automobilistica cinese è il leader mondiale della produzione di veicoli elettrici, con questi numeri sarà la prima casa automobilistica al mondo a produrre oltre 2 milioni di veicoli elettrici in un anno. Nel 2023 la società in espansione sta pianificando l'assalto al mercato europeo con tre nuovi modelli, e dove prevede di costruire nuove fabbriche e partnership per evitare i dazi dell'UE sulle importazioni di auto cinesi. Restando nel mercato asiatico attualmente ha in corso di costruzione una fabbrica in Thailandia per produrre modelli di auto elettriche con guida a destra per mercati in Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito e la nella stessa Thailandia. Nella nuova fabbrica a 160 km a sud-est di Bangkok, che dovrebbe iniziare l'operatività nel 2024, è prevista la produzione di 150 mila auto all'anno con l'obiettivo di assumere una posizione dominante sul mercato automobilistico. Il nuovo impianto fa parte di una più ampia partecipazione in Thailandia che dovrebbe diventare un hub di produzione di veicoli elettrici in tutta l'Asia. Se nel mercato interno cinese ci sono segnali di rallentamento risultano in crescita in nuovi mercati come quello australiano, dove la BYD sta lavorando per raggiungere il traguardo delle 10 mila consegne entro il 2023 con migliaia di ordini in sospeso ancora da consegnare e con una domanda in crescita di veicoli elettrici a prezzi accessibili come il modello Suv Atto 3 versione Hatchback con Batteria da 60KWh, 204 CV e autonomia di 427 km destinato anche al mercato europeo.

La Cina forte del suo ruolo di maggior produttore mondiale, è di gran lunga il più grande mercato di veicoli elettrici, con quasi 580 mila veicoli esportati ha raggiunto nel 2022 il 59% delle vendite globali e ha aumentato le vendite su base annua di un +82%.
Nel 2022 il record assoluto della produzione delle case automobilistiche cinesi
Tesla. L'azienda texana di Elon Musk ha aumentato la sua produzione di un modesto 40% nel 2022, rimanendo però davanti ai marchi occidentali concorrenti come il gruppo tedesco Volkswagen fermo a un +10% e la società GM la General Motors Corporation di Detroit, produttrice di marchi Cadillac, Chevrolet, GM Korea, GMC, e Buick che ha registrato nel 2022 un +13%, ma restando comunque molto indietro ai suoi rivali cinesi, come per esempio la Geely Auto Group che ha registrato una crescita record di un +251%. Non è chiaro se questi marchi cinesi potranno mantenere nel tempo le loro cifre di crescita eccezionali, ma una cosa è chiara che la Musk sta affrontando una concorrenza sul mercato delle auto elettriche assolutamente spietata. La società di Austin punta a una produzione annuale di 20 milioni di auto entro il 2030, il che significa che dovrà mantenere dei tassi di crescita annui a due cifre per il resto del decennio, e per supportare questa iniziativa sta progettando una fabbrica multimiliardaria Gigafactory in Messico a Santa Catarina, una città nello stato messicano nord-orientale di Nuevo Leon, che creerà da 5.000 a 6.000 posti di lavoro e attirerà un flusso di investimenti fino a 5 miliardi di dollari e in grado di produrre un milione di modelli di auto elettriche all'anno.  

Tesla con un ampio margine guida le vendite globali di modelli BEV, che sono le auto con tecnologia Battery Electric Vehicle alimentate da un motore elettrico a batteria, senza l'utilizzo di combustibili fossili, con una quota del 17% di tutta questa tipologia venduta in tutto il mondo.

Una performance sotto le attese per la Tesla la casa automobilistica di Musk, che cerca il rilancio in Messico
Stellantis. Il Gruppo ha avuto una crescita di produzione del +34% rispetto al 2021. Stellantis è una fusione tra i gruppi Fiat, Chrysler Automobiles e PSA il colosso francese Peugeot, Citroën, DS, Opel e Vauxhall Motors, con sede legale ad Amsterdam e operativa a Hoofddorp. La casa automobilistica multinazionale punta a offrire 75 modelli BEV nei suoi 14 brand entro il 2030. Il gruppo ha siti produttivi, di proprietà o in joint venture, in 29 Paesi tra Europa, America, Africa e Asia.  

Nel 2022 ha guadagnato quote nel settore dei veicoli elettrici in Europa e negli Stati Uniti e anche una piccola presenza in Cina dove però, vista la concorrenza spietata dei cinesi, non ha potuto partecipare all'elevata crescita locale.

Hyundai Motor Company
di Seoul, che possiede anche Kia, ha registrato un +42% un tasso di crescita simile alla Tesla. Con la Hyundai Ioniq nel 2016 è stata la prima casa automobilistica al mondo a costruire un veicolo elettrico. Con il disegno di legge americano l'Inflazion Reduction Act, il piano di spesa in sussidi solo per le imprese USA e che ha anche revocato i crediti d'imposta sui veicoli elettrici non prodotti negli Stati Uniti, anche la Corea del Sud, che ha in costruzione uno stabilimento di 5,5 miliardi di dollari in Georgia e che sarà operativo solo nel 2025, come altri Paesi hanno disapprovato il provvedimento e sono corsi ai ripari. Anche il governo coreano ha varato un nuovo piano di sovvenzioni per i veicoli elettrici che favorisce la Hyundai a discapito di altre marche soprattutto l'americana Tesla, deciso proprio per bilanciare le discrepanze create dalla legge sul credito d'imposta degli Stati Uniti e difendersi dai piani di sovvenzione della Cina.  

Questo Piano di riforma dei sussidi per i veicoli elettrici del 2023 del Ministero dell'Ambiente coreano, prevede che il governo fornirà sussidi per i veicoli elettrici in modo diversificato in base ai livelli di prestazioni del veicolo, all'infrastruttura del servizio post-vendita e alla densità di energia della batteria.

Il boom di vendite nei mercati del sud del mondo con un +223% dell'India
LE VENDITE SU BASE ANNUA PER AREE GEOGRAFICHE
Nel 2022 sono stati consegnati in totale 10,5 milioni di nuovi veicoli elettrici di cui BEV 73% e PHEV 27%, con un aumento del +55% rispetto al 2021. Suddiviso: in Europa 2,683 milioni di veicoli venduti con un +15% a causa dei deboli mercati complessivi dei veicoli e soprattutto dalla persistente carenza di componenti che hanno avuto un effetto negativo aggravato dalla guerra in Ucraina; negli Stati Uniti e in Canada con 1,108 milioni sono aumentate del +48% rispetto al 2021; in Cina 6,181 milioni con un +82% rispetto al 2021 e altri mercati con 551 mila un +89% di crescita. In forte ascesa le  vendite auto nelle economie in via di sviluppo, in particolare l'India e i paesi dell'ASEAN, Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam con numeri straordinari. 

I mercati più in crescita sono stati l'Indonesia da 1.000 a 10.000, il boom  dell'India con +223% a 50.000, quasi tutti i BEV,  la Nuova Zelanda +151% a 23.000 per una quota di mercato del 20% confermando che l'offerta e l'adozione di veicoli elettrici si sta diffondendo rapidamente molto di più nel sud del mondo che altrove. 

In Italia i veicoli elettrici sono in ritardo rispetto ad altri mercati europei. Solo dal 2015 il mercato inizia a decollare con un record di 842 unità tipo PEV, raddoppiando le vendite anno per anno. Il governo italiano offre vari incentivi finanziari per l'acquisto di veicoli a basse emissioni di carbonio che possono variare in base alla regione e sono per lo più diretti ad aziende/organizzazioni con distanze medie di guida elevate.  

I regimi di sostegno includono carburanti alternativi, riducendo così il vantaggio dell'acquisto di un veicolo a emissioni zero. I veicoli elettrici puri continuano a dominare la preferenza italiana, con oltre l'85% di tutti i veicoli plug-in.

REALTÀ E PREVISIONI DEL MERCATO ELETTRICO

Resta altissima la quota di mercato dei veicoli ICE, Internal Combustion Engine, nel 2022 è del 76,8% ed è scesa di un -7% rispetto al 2021. A livello globale per l'intero anno 2023, si stima che le vendite di auto elettriche arriveranno a 14,3 milioni con una crescita del +36% rispetto al 2022 e soprattutto a propulsione esclusivamente elettrica BEV che raggiungeranno 11 milioni e gli ibridi plug-in PHEV 3,3 milioni di unità. 

BEV Battery Electric Vehicle, sono alimentate da un motore elettrico a batteria, senza l'utilizzo di combustibili fossili.

PHEV Plug In Hybrid, si utilizza il solo motore elettrico quando si accende la vettura e si guida alle basse velocità, fino all'esaurimento della carica della batteria al litio. Il motore termico, invece, entra in funzione quanto la batteria è scarica o alle velocità più elevate

ICE-Internal Combustion Engine, sono le auto a benzina, diesel, metano e GPL, quindi tutte le vetture con motore a combustione interna, o motore endotermico, di tutti i tipi.

Tesla guida le vendite globali delle BEV le totalmente elettriche
Fonte dati EV-volumes.com; brunapisano_visual; infograficapisano©RIPRODUZIONE RISERVATA

I cinque super Big dell'energia atomica mondiale

I cinque Big dell'energia atomica globale sono nell'ordine Stati Uniti, Cina, Francia, Russia e Corea del Sud e sono i maggiori produttori di energia dalla fissione nucleare e hanno generato nel 2021 il 71% di tutta l’elettricità prodotta nel mondo.

Negli anni ’70 entrò in vigore un trattato per gestire i programmi nucleari rivolto a quei Paesi a cui era garantito l’accesso alla tecnologia nucleare. Era il "Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, NPT" e i Paesi interessati erano Cina, Francia, Russia (URSS) Regno Unito e Stati Uniti. Nel Trattato si stabilisce tra l’altro che: “Nessuna disposizione del presente trattato deve essere interpretata in modo da pregiudicare il diritto inalienabile di tutte le parti del trattato di sviluppare la ricerca, la produzione e l'uso dell'energia nucleare per scopi pacifici senza discriminazioni”. 

Nell'infografica la panoramica dei Paesi che oggi utilizzano la fissione dell'atomo per produrre elettricità

I cinque Big dell'energia atomica. Tutte le centrali nucleari operative. Infograficapisano©RIPRODUZIONE RISERVATA

OGGI NEL MONDO. Cinquant’anni dopo quel Trattato nel mondo sono diventati 33 i Paesi che gestiscono la fissione nucleare di cui 17 con programmi di costruzione di nuovi reattori attivi. In totale i reattori esistenti ad oggi sono 798 di cui 409 operativi per la produzione di elettricità globale, 58 in costruzione, 92 abbandonati, 28 inattivi da lungo termine e 212 chiusi. La quota del 2021 dell'energia nucleare nella produzione globale di elettricità commerciale lorda è al 9,8%, il valore più basso degli ultimi 40 anni. L’età media dei reattori mondiali oggi è di 31,2 anni.  

NELL'UNIONE EUROPEA. I reattori esistenti nella UE sono 204 di cui 100 operativi, 2 in costruzione, 25 abbandonati e 77 chiusi. La quota di energia prodotta di elettricità è di 25,3% e il consumo di energia nucleare primaria rispetto al 2020 è aumentato del 6,7%, principalmente a causa dell'aumento della produzione in Belgio e Francia. I reattori più vecchi sono in Europa con una media di 37 anni di età, il più vecchio in Olanda con 49,7 anni. La Francia con 69% è il Paese che dipende maggiormente al mondo dalla fissione nucleare per la produzione interna, segue la Slovacchia con 52,3% e il Belgio con 50,8%. Tre Paesi dell’Unione Europea Italia, Lituania e Germania hanno abbandonato negli anni i programmi nucleari.

LA CRESCITA DELLE RINNOVABILI. Nella Ue dal 2012 al 2021 mentre la produzione elettrica in TWh (miliardi di Kilovattora) fornita dal fossile e dal nucleare è in flessione dovuta anche alle sanzioni alla Russia, in crescita sono le rinnovabili con l’idroelettrico da 332 a 348 TWh, il vento da 187 a 387, le altre rinnovabili non idroelettriche da 139 a 174 e infine il solare da 70 a 159 TWh. 

I CINQUE BIG DELL'ATOMO

1) STATI UNITI. Con 93 reattori, gli Usa gestiscono di gran lunga la più grande flotta nucleare del mondo che ha fornito nel 2021 778,2 TWh con il 19,6% dell'elettricità prodotta al Paese. Il numero di reattori è in continua diminuzione, 41 nel tempo ne sono stati chiusi definitivamente e 42 cantieri di centrali abbandonati in fase di avanzamento, l'ultimo nel 2017 in South Carolina, il Summer-2 e -3. Ad oggi solo un'unità è in costruzione nello Stato della Georgia il Vogtle-4, iniziata dal 2013 con costi lievitati da 14 a 34 miliardi di dollari e una delle unità del progetto presumibilmente sarà operativa a fine 2023. Gli Stati Uniti con 41,9 anni hanno una delle più vecchie flotte di reattori esistenti.

2) CINA. La Cina ha 57 reattori operativi che hanno generato 383,2 TWh che costituiscono il 5% dell'elettricità prodotta nel Paese. Per ridurre il gap con gli Stati Uniti ha in costruzione altri 22 reattori che rappresentano quasi il 40% dei cantieri nucleari mondiali del 2023. La China National Nuclear Corporation (CNNC) ha annunciato l'inizio della costruzione del reattore Sanmen-4, il primo del mondo per il 2023 e la prima centrale di IV generazione con una tecnologia completamente innovativa che rende questa generazione di reattori rivoluzionari. La capacità netta combinata degli impianti operativi e di quelli in costruzione che dovrebbero entrare in funzione prima del 2026 è di 61 GW circa. La flotta nucleare che gestiscono i cinesi è di gran lunga la più giovane del mondo con una media di 9,5 anni di vecchiaia, con 41 reattori, quasi 4 su 5, collegati alla rete negli ultimi 10 anni. Dei 22 reattori in costruzione, di cui 6 iniziati nel 2021, 2 reattori sono forniti dalla russa Rosatom e la cui costruzione è iniziata dopo l'inizio della guerra contro l'Ucraina. 

Il reattore di Hualong One in Cina

I cinesi hanno anche l'ambizione di esportare centrali nucleari e i funzionari promuovono questo obiettivo con la previsione che incoraggerà la produzione industriale di attrezzature altamente sofisticate, ad oggi hanno esportato centrali nucleari in Pakistan e le 6 unità presenti sono di progettazione cinese. La China National Nuclear Corporation (CNNC) ha annunciato che la Cina mira a costruire 30 centrali nucleari all'estero entro il 2030. Oltre il nucleare il piano energetico cinese ha anche fissato un aumento dell’elettricità prodotta dalle rinnovabili non fossili dal 32,6% del 2021 al 39% nel 2025 che dovrebbe essere prodotte dalle installazioni di eolico e solare fotovoltaico collegate alla rete con piccole unità sotto i 300 MW che consentono di essere riavviate con breve preavviso per risolvere problemi di intermittenza.


3) FRANCIA. Ha 56 reattori operativi di età media di 37,8 anni che hanno prodotto 360,7 TWh e ha 1 solo reattore in costruzione dal 2007, il Flamanville-3 e nel tempo ne ha chiusi 14. Gli altri progetti nucleari francesi sono in Finlandia, Olkiluoto-3, connesso alla rete a marzo 2022, e nel Regno Unito, Hinkley-Point-C-1 e -2. Tutti questi progetti sono di design franco-tedesco e tutti sono in ritardo di anni e superano notevolmente le stime dei costi originali. Nel 2021, le centrali nucleari francesi hanno fornito il 69% dell'elettricità del Paese distante dalla quota nucleare del picco del 2005 del 78,3%, dando alla Francia il Paese in assoluto con più dipendenza dall'energia prodotta dalle centrali nucleari.

Dal 2020 al 2022 sono stati anni problematici per il settore nucleare francese a causa di perdite di 6 GW dovute a problemi strutturali come la scoperta di crepe nei sistemi di raffreddamento del nucleo di emergenza causando l’arresto dei 4 reattori più grandi e recenti di 1.450 MW. Nel 2022 altri reattori da 1.300 MW hanno presentato simili danni e in 12 sono stati spenti e si teme lo stesso problema su altre 32 unità da 900 MW. Sono previsti tempi lunghi di fabbricazione di pezzi di ricambio con le relative sostituzioni e l’ente EDF dovrà ispezionare tutti i 56 reattori entro il 2025. Il tutto in aggiunta a interruzioni per manutenzioni ordinarie che si sommano a riparazioni che mettono fuori uso la metà della flotta per la maggior parte dell’anno e quindi la normativa vigente prevede la chiusura di una decina di reattori fino al 2035 e la riduzione al 50% della quota nucleare nel power mix. In ritardo dal 2007 è in costruzione un reattore di 1630 MW Flamanville-3 con consegna nel 2024, altre ipotesi di reattori allo studio prevedono tempi lunghi fino al 2043.

La centrale di Flamanville-3 Aerial in costruzione © EDF

4) RUSSIA. Gestisce 37 reattori e ha 5 nuove centrali in costruzione di cui 3 iniziate dal 2018 al 2021. Nel tempo i russi hanno abbandonato la costruzione di 12 centrali e ne hanno chiuse 10 definitivamente. L’energia nucleare ha contribuito per il 20% al mix energetico del Paese con una produzione record di 208,5 TWh di elettricità. Tra il 2011 e il 2020 la Russia ha connesso alla rete 10 reattori, dopo un tempo medio di oltre 18 anni dall'inizio della costruzione. Nel 2022 Rosatom ha annunciato la cerimonia di posa della chiglia della prima unità nucleare galleggiante (NFPU) di tipo artico dotata di due reattori RITM-200C. La produzione delle chiatte è stata esternalizzata a una società di costruzioni navali in Cina.

La Russia è ad oggi il più grande esportatore di energia nucleare con 35 progetti in varie fasi di avanzamento in vari Paesi tra cui: 2 reattori a Rooppur in Bangladesh,  2 reattori a Ostrovets di cui uno completato in Bielorussia, 2 reattori a Tianwan e 2 nella provincia di Liaoning in Cina, 4 reattori a El Dabaa in Egitto, 2 reattori a Paks in Ungheria, 4 reattori a Kudankulam in India e  4 reattori ad Akkuyu in Turchia, 2 reattori in Slovacchia completati da un consorzio guidato dalla Repubblica Ceca. L'elenco comprendeva anche 1 reattore nucleare da costruire in Finlandia ma il progetto è stato annullato. È inoltre il fornitore di tecnologia di 20 dei 53 reattori in costruzione dal 2022 e il successo della spinta all'esportazione della Russia in un mercato di nicchia di progetti finanziati dagli Stati non è solo e principalmente la tecnologia, ma l'accesso a finanziamenti a basso costo che accompagna gli accordi. 

Le sanzioni economiche imposte alla Russia dall'Occidente hanno e continueranno ad avere un impatto sul settore nucleare. La vendita del combustibile nucleare, l'uranio, non è stata oggetto di sanzioni internazionali anche se alcuni paesi, come l'Ucraina, hanno annunciato una strategia di diversificazione per cessare totalmente l'uso del combustibile russo. Tuttavia, come nel caso dell'UE e del gas naturale, un certo numero di paesi dipende fortemente dall'uranio russo o dai suoi servizi di rifornimento. La Russia fornisce circa un terzo di tutti i servizi di conversione dell'uranio e il 40% dell'arricchimento a livello globale, inoltre, fornisce circa 1/5 dell'arricchimento ai reattori negli Stati Uniti. 

GettyImages-Akademik Lomonosov Lev Fedoseyev

5) COREA DEL SUD. La Repubblica di Corea, Corea del Sud, gestisce 25 reattori relativamente giovani di 22,9 anni di media, nel tempo ne ha chiusi 2, Kori-1 e Wolsong-1e, ne ha 3 in costruzione. La flotta nucleare di proprietà di Korea Hydro & Nuclear Power (KHNP), si trova concentrata nei siti di Hanbit, Hanul, Kori e Wolsong. Il numero medio di reattori per sito in Corea del Sud è il più alto al mondo e Kori con 7 reattori e 7.489 MW è la più grande centrale nucleare del mondo. L’energia nucleare che ha fornito la fissione nel 2021 è di 158 TWh fornendo il 28% dell'elettricità del paese. L’ipotesi della graduale eliminazione del nucleare entro il 2040 è sostenuta dalla maggioranza dei coreani soprattutto dopo l’incidente di Fukushima nel 2011 e il terremoto di Gyeongju nel 2016 non lontano dalle centrali nucleari che ha sollevato serie preoccupazioni per la sicurezza dei reattori nucleari coreani. La politica di eliminazione graduale del nucleare a lungo termine è stata recentemente bocciata dal governo anche se per fine servizio 10 centrali coreane sulle 25 operative sono in via di scadenza che sono Kori-2 che sarà chiuso a fine 2023, Kori-3 nel 2024, Tori-4 e Hanbit-1 nel 2025, Hanbit-2 e Wolsong -2 nel 2026, Hanul-1 e Wolsong-3 nel 2027, Hanul-2 nel 2028 e infine Wolsong-4 nel 2029 per un ammanco totale di 8.450 MW.

ALTRI PAESI CHE UTILIZZANO IL NUCLEARE

FINLANDIA. Gestisce 5 reattori di età media dei primi 4 reattori operativi di 43,3 anni. Dopo un'interruzione di 14 anni, la Finlandia è stato il primo paese dell'Unione europea a lanciare nel 2005 un nuovo progetto di costruzione nucleare Olkiluoto-3. Solo la Francia con Flamanville-3 e il Regno Unito con Hinkley-Point-C-1 e -2 da allora hanno iniziato a costruire nuove unità nell'ex UE a 28 Paesi. Tutti questi sono del design EPR franco-tedesco e sono tutti in ritardo di anni e con costi quadruplicati rispetto al costi originari.

4 reattori nucleari hanno fornito 22,9 TWh di elettricità in Finlandia e ha rappresentato il 32,8% del fabbisogno nazionale. Il quinto reattore EPR da 1,6 GW Olkiluoto-3 è stato collegato alla rete a marzo 2022, ma continua a lottare con problemi tecnici e non è ancora entrato nella normale generazione di energia. Fin dall'inizio infatti è stato afflitto da innumerevoli problemi di gestione e controllo qualità, come la difficoltà di eseguire il getto e la saldatura secondo le specifiche tecniche, ma soprattutto l'utilizzo di subappaltatori e lavoratori di oltre 50 nazionalità ha reso la comunicazione e la supervisione estremamente complesse. La Finlandia ha adottato diverse tecnologie e fornitori nucleari, perché due dei suoi reattori operativi sono costruiti da appaltatori russi e altri dal governo francese. Fortum il proprietario-gestore della centrale nucleare di Loviisa nel 2022 ha presentato al governo una domanda di rinnovo della licenza er ottenere il permesso di far funzionare le due unità fino alla fine del 2050 un prolungamento eccezionale di 70 anni di vita operativa. 

EPR Nuclear Power Plant, la centrale di Olkiluoto in Finlandia Foto Framatone

REGNO UNITO. Ha 9 reattori operativi e 36 unità sono state chiuse definitivamente compresi tutti i 26 reattori Magnox, 2 autofertilizzanti veloci, 1 piccola unità a Sellafield e 5 reattori a gas avanzati (AGR), e infine ha 2 reattori in costruzione dal 2019 e 2020 di cui uno a Bradwell su progetto cinese Hualong One. Le centrali nucleari nel 2021 hanno generato 42 TWh, rappresentando il 14,8% dell'elettricità del Paese ma negli ultimi decenni il mix elettrico nel Regno Unito è cambiato con un rapido aumento dell’uso di energia rinnovabile che nel 2021 arrivava al 39,6% e la contemporanea scomparsa del carbone a quota 2,1% con il declino progressivo dell’uso del nucleare dovuto anche all'età avanzata della flotta oggi di 37 anni. I britannici hanno fissato uno degli obiettivi di emissioni di gas serra più ambiziosi al mondo, impegnandosi a una riduzione del 68% entro il 2030 e si sono inoltre impegnati a un settore energetico a emissioni zero di carbonio entro il 2035.

Nonostante con la Brexit il Regno Unito abbia lasciato il mercato interno dell'energia dell'UE il commercio per elettricità continua con gli Stati membri dell'UE attraverso l'entrata in funzione di nuovi interconnettori. Nel 2021 è stato realizzato un nuovo collegamento con la Norvegia, il North Sea Link, un cavo da 1,4 GW ~720 km, che fa seguito ai nuovi interconnettori verso la Francia nel 2020 e verso il Belgio nel 2019. In totale, ora ci sono 7 cavi con una capacità totale di 7,4 GW, e mentre questi consentono il flusso di energia in entrambe le direzioni, il mercato britannico è sempre più un importatore netto: 24 TWh nel 2021, ma può variare a causa della bassa produzione o delle interruzioni per esempio della Francia.

LE ECONOMIE EMERGENTI ASIATICHE

INDIA. Ha 19 reattori operativi, con una capacità di generazione netta totale di 6,3 GW, l'energia nucleare ha contribuito per 39,8 TWh netti di elettricità nel 2021 e rappresenta il 3,2% della produzione totale di energia del Paese. Sono in costruzione altri 8 reattori, con una capacità calcolata e combinata di 6,0 GW con previsione di consegna rinviata nel 2024 e 2025 con aumenti di costi rispetto alle previsioni. Questi includono 4 reattori VVER-1000 a Kudankulam, 3 reattori ad acqua pesante pressurizzata (PHWR), di cui 1 a Kakrapar e 2 a Rajasthan e 1 prototipo di reattore autofertilizzante veloce. 

3 reattori Rajasthan-1 e le 3 unità Tarapur-1 Tarapur-2, tra l'altro considerati i 2 reattori più antichi del mondo e Madras-1 rientrano nella categoria dell'abbandono a lungo termine perché non hanno generato più generato elettricità e 1 reattore risulta chiuso definitivamente. Degli 8 progetti di reattori in costruzione di cui 4 di progettazione russa, tutti sono in grave ritardo di consegna e il governo indiano ha annunciato un probabile ulteriore ritardo per la consegna dei 4 in costruzione a Kudankulam perché i componenti e le apparecchiature da importare dall'Ucraina e dalla Russia a casusa della guerra potrebbero subire ritardi a causa delle difficoltà logistiche e problemi di trasporto marittimo. Forte la spinta indiana delle energie rinnovabili, secondo l'Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), la capacità installata di tutte le fonti energetiche rinnovabili è arrivata a 147,1 GW nel 2021, di cui l'energia eolica e quella solare contribuiscono rispettivamente con 40 GW e 49,7 GW.

La centrale nucleare di Rajasthan a Kota in India

Fonte: World Nuclear Industry Status Report | 2022. @brunapisano_visual; elaborazione infograficapisano ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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