11SETTEMBRE. LA LUNGA NOTTE DELL'INFORMAZIONE A L'ESPRESSO.
Avevamo appena chiuso il numero de l'Espresso quel pomeriggio, in anticipo come sempre, ed era tutto andato bene. Avevo spento il Mac, quando pensai di fermarmi per fare un'ultima chiamata. La voce al telefono di mio padre mi sembrò più agitata del solito. Mi descrisse una cosa in diretta mentre guardava la televisione, una cosa strana che stava accadendo proprio in quel momento. Era un'immagine in diretta dagli Stati Uniti che faceva vedere un aereo che si infilava in un grattacielo. Pensai fosse una fiction e quasi lo presi in giro, ma lui con tono molto serio quello che aveva quando intendeva "metterti al posto tuo" disse serio, «Non sembra uno sceneggiato, sembra proprio una cosa vera e poi hanno interrotto i programmi ed è una diretta sul telegiornale. Guarda che sembra proprio una cosa molto grave».
IL GHOTA. C'erano proprio tutti in redazione. Il ghota del miglior giornalismo di quell'epoca, in quel lungo corridoio del primo piano, il direttore Giulio Anselmi, Antonio Padellaro, Giampaolo Pansa, Antonio Gambino, Eugenio Scalfari, Bruno Manfellotto, Roberto Fabiani, Dante Matelli, Enrico Pedemonte, Pinna, Zaffina, Damilano, Mucchetti, Rossetti, De Nicola, c'era persino l'Ingegnere De Benedetti e tutti gli inviati in collegamento da tutte le parti del mondo, e tutti in redazione dai fattorini ai vicedirettori al fotografico e alla segreteria si accalcavano, si agitavano e discutevano davanti ai televisori che stavano mandando in onda uno speciale collegamento da New York, quando il secondo aereo improvvisamente ripreso in diretta dalle telecamere si schiantò sul secondo grattacielo. Quello del World Trade Center. Mi venne in mente che conoscevo bene quel posto perché lo avevo visitato forse l'anno prima perché ero a New York ed ero andata a trovare una mia amica svedese che lavorava in un famoso studio di avvocati statunitensi proprio in un piano di quel bellissimo grattacielo.
Rifacemmo tutto il giornale dalla prima all'ultima pagina. Una edizione speciale, con una pressione e ansia inaudita, palpabile, con le notizie che arrivavano velocemente e si accalcavano una sull'altra, si parlava di altri aerei pronti a colpire di allarmi bomba continui, non si sapeva dove avrebbero ancora colpito e quella notte sembrava non dovesse finire mai.Tutti lavorammo fino all'alba cercando di restare lucidi e sicuramente già consapevoli che quell'11 settembre sarebbe poi diventato un fatto clamoroso che avrebbe cambiato la storia sia dell'America e anche di buona parte del resto del mondo. Abbiamo dato il massimo tutti insieme e abbiamo sentito tutti l'importanza di fare un giornale all'altezza della gravità del momento. Ci siamo riusciti perché il nostro gruppo era veramente straordinario.
Ripensai per un attimo a mio padre che mi aveva dato la notizia in diretta e che era rimasto colpito da immagini così incredibili, ma soprattutto pensai a mia madre, che sicuramente avrebbe colto l'occasione di pronunciare per l'ennesima volta la frase che più la terrorizzava da sempre e cioè «Non sarà mica che adesso scoppia di nuovo la guerra!». Una sua grande paura che l'ha accompagnata nella vita, forse perché la guerra l'aveva vissuta in prima persona, e sapeva che prima o poi per la follia di chi sta nella stanza dei bottoni o in qualche caverna un conflitto sarebbe potuto di nuovo accadere.