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La grande fuga dal Sahel tra instabilità politica e jihad

L'instabilità politica, l'estremismo islamico, le milizie tribali insieme alla crisi economica e alla carenza di cibo anche per cause climatiche e la guerra in Ucraina, danno a questa zona del Continente africano il primato di rischio estremo da cui fuggire in cerca di un posto sicuro.

Da decenni l’area del Nord Africa identificata come il Sahel, il Corno d’Africa e l’Africa Centrale è sotto osservazione per le grandi criticità di tipo economico e politico che si riflettono sulla sicurezza di tutto il Mediterraneo. La Relazione Annuale 2022 sulla Politica dell'Informazione per la Sicurezza, pubblicata dalla Presidenza del Consiglio Italiano, mette la lente su quella parte del continente africano travolto essenzialmente dalla violenta avanzata dell'estremismo islamico e di quella dei gruppi ribelli.

LA GRANDE FUGA. Da molto tempo i tre principali teatri di crisi del continente africano sono l’area saheliana, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi Laghi. Sono aree geografiche potenzialmente esplosive che hanno tratti di rischio simili per molti fattori che sono in sintesi: la pressione demografica, le crisi economiche, le problematiche politico-istituzionali, nonché gli scontri legati allo sfruttamento delle enormi ricchezze di quelle terre, alimentate da molti gruppi ribelli che soffiano sulle crisi inter-etniche. Sono presenti conflitti armati incancreniti e in vari Paesi da decenni si contano numerose "operazioni militari" spesso straniere o Missioni di peacekeeping internazionali europee e dell'Onu. Operazioni a sostegno dei governi eletti contro il sempre più aggressivo attivismo del fondamentalismo islamico, oltre a quello delle milizie tribali ed inter-etniche, che però, vista l'incapacità di una soluzione reale, oltre a provocare la fuga di milioni di persone verso l'Europa ha anche sviluppato in chi resta un forte sentimento diffuso anti-occidentale.

Nell'infografica IL SAHEL LA POLVERIERA AFRICANA ho elaborato una serie di info e dati dei Paesi presi in esame dalla Relazione Annuale sulla Sicurezza del 2022.

IL SAHEL LA POLVERIERA AFRICANA. I dati sulla sicurezza dalla Relazione Annuale 2022. infograficapisano©RIPRODUZIONE RISERVATA
LA CARENZA DI CIBO. La persistenza di queste criticità ha contribuito a gravi emergenze umanitarie con carestie e insicurezze delle risorse alimentari aggravata in questo periodo dalla guerra in Ucraina per la difficoltà di approvvigionamento del grano. La riduzione di alcune missioni internazionali nel continente ha spinto vari governi locali ad aprire la strada alla presenza militare avanzata della Russia con la Compagnia Privata Wagner, ormai consolidata in alcune regioni con lo scopo da una parte di combattere il jihadismo e dall'altra assicurare la presenza nel Mediterraneo e rafforzare la Federazione Russa sulla scena internazionale. Sul quadrante si sono innescate spirali di insicurezza politica con per esempio il susseguirsi di continui colpi di stato e l’affacciarsi di nuove e giovani classi di dirigenti, spesso provenienti da apparati militari, con ampio supporto popolare che ha messo in crisi i ruoli di collaborazione collaudati da partner tradizionali occidentali. Il cambio di situazione politica ha provocato forti sentimenti anti-occidentali da parte della popolazione e la riduzione per sicurezza del personale di molte Missioni anche dell’Onu.

Missione ONU in Mali


Il Gruppo Militare Privato Russo Wagner

Nel Mali il governo di Transizione non è riuscito a migliorare i parametri economici e la situazione precaria interna ha dato spazio all’attivismo jihadista guadagnando di fatto il controllo di vaste zone all’autorità di Transizione. Lo scadimento politico-sociale e anche la presenza delle milizie russe di Wagner a supporto nella lotta alla jihad, ha portato la Giunta militare del Presidente Assimi Goita a prolungare la Transizione per un periodo dai 6 mesi ai 5 anni che ha provocato una crisi nei rapporti tra Bamako e la Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest-CEDEAO che ha imposto al Mali sanzioni, per poi revocarle in seguito alla decisione del governo di rivedere il calendario elettorale. 

In Burkina Faso con due colpi di Stato a distanza di otto mesi nel 2022 a causa del peggioramento dell’economia e della sicurezza il Paese rischia di diventare il nuovo epicentro della crisi africana, con un tasso di elevata violenza di tipo terroristico e con quasi il 40% del territorio nazionale di cui il governo ha ormai perso il controllo.

I miliziani del Gruppo Jihadista di Al Shabaab presente nel Corno d'Africa

In Mali e non solo il fenomeno del proselitismo e arruolamento di giovanissimi
Il Niger invece si conferma nell’area di grave crisi piuttosto stabile grazie ad un governo che ha varato alcune riforme per esempio ha agevolato la scolarità dei giovani e ha combattuto gli scontri tra clan e tra comunità e costituisce ormai uno dei principali riferimenti occidentale nell’area saheliana. Vista la crisi del Mali e la situazione precaria a nord della Niger dove le sigle terroristiche molto offensive mantengono il controllo di alcuni territori, resta una forte preoccupazione per la Missione italiana bilaterale MISIN di supporto dislocata in Niger.

Il CORNO D'AFRICA. In Etiopia nel 2018 è stata eletta la prima donna Presidente Sahle-Work Zeudela e la presenza jihadista e le rivalità interclaniche evidenziata da una fragilità politica creano una situazione di scontri soprattutto a nord al confine con l’Eritrea. Nonostante l’Accordo di Pace firmato a Pretoria nel 2022 tra il governo e i miliziani si susseguono disordini e violenti attacchi di matrice etnico- religioso, tra le Forze federali di Addis Abeba e gruppi armati di ribelli come il TPLF, il Fronte di Liberazione del Tigray. Resta grave la situazione umanitaria dove la siccità nel sud del paese destabilizza e provoca la fuga di persone verso l’Unione Europea.

Sahle-Work Zeudela
In Somalia con l’elezione del presidente Hassan Sheik Mohamud già in carica dal 2012 al 2017 si registrano sul fronte politico sviluppi positivi. Se dal lato politico la situazione è sotto controllo non si può dire la stessa cosa sul terreno che continua a risentire dei contrasti di natura clanica. La sicurezza resta un tema critico anche in vista della fine nel 2024 della Missione Internazionale AMISOM.

I Grandi Laghi. In quest’area si sono sviluppati incoraggianti meccanismi di interlocuzione tra i numerosi Stati, sia per processi di collaborazione reciproca allo sviluppo ma anche e principalmente per combattere l’attivismo etnico-tribale. La lotta è rivolta anche contro il reclutamento e il proselitismo delle sigle dei gruppi insorgenti locali di criminali e di organizzazioni jihadiste. Sotto la lente anche le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo e il quadrante dell’Africa Australe, in particolare Mozambico e Angola, anche in funzione dell’apporto che tali Paesi possono offrire ad una eventuale domanda energetica nazionale.

JIHAD AFRICANA. Il fenomeno della regionalizzazione del jihad da una analisi del fenomeno del terrorismo jihadista, che ha visto al Qaida e DAESH delegare responsabilità a filiali periferiche, potenziando così la capacità di proiezione operativa su scala locale di queste sigle, senza tuttavia abdicare alla vocazione originaria del jihad globale, si osserva il fenomeno di una certa regionalizzazione. Le diverse formazioni o gruppi hanno radici in dinamiche ataviche dettate da conflittualità inter-etniche in guerra perenne contro i governi centrali o periferici e con la difficile gestione delle risorse colpite dalle problematiche del clima, danno modo a questi gruppi di fomentare e sfruttare il malcontento della popolazione. Si assiste ad un marcato attivismo jihadista in tutta questa area subsahariana si può considerare senza tema di smentita il vero e proprio nuovo epicentro della jihad mondiale.

Migranti in fuga attraverso il deserto fino in Libya o Tunisia e poi il viaggio nel Mediterraneo

Bruna Pisano. Elaborazione info e dati Relazione Annuale 2022. Sulla Politica dell'Informazione per la Sicurezza. infograficapisano©RIPRODUZIONE RISERVATA

Quali sono i Paesi che emettono più CO2 al mondo

Dai dati della Commissione europea che monitora l'andamento delle emissioni globali di CO2 fossile, che sono in totale 37.857,564, si possono capire molte cose anche se uno non è uno studioso o uno scienziato della materia. Ci sono delle economie che emettono quantità di anidride carbonica eccezionale, e altre che nel resto del mondo subiscono loro malgrado queste emissioni. Certamente la Cina con il suo 33,0% di emissioni di CO2 fossile nel 2021 resta in cima al mondo e supera con il suo dato straordinario di 12.466,32 tonnellate metriche all'anno la somma di tutte le emissioni annuali degli Stati Uniti, dell'India, dei 27 Paesi Ue e della Russia.

Infografica Le emissioni CO2 globali. Elaborazione Bruna Pisano©RIPRODUZIONE RISERVATA
IL GRUPPO DELLE SEI
Nel 2021 Cina, Stati Uniti, 27 Paesi UE, India, Russia e Giappone sono i maggiori produttori di CO2 fossile al mondo. Insieme rappresentano il 49,2% della popolazione mondiale, il 62,4% del prodotto interno lordo globale (Banca mondiale, 2022), il 66,4% del consumo globale di combustibili fossili (Definito come la somma di tutti i consumi energetici primari di carbone, combustibili fossili liquidi e gas naturale) e il 67,8% delle emissioni globali di CO2 fossile. Le emissioni 2021 rispetto ai dati del 2020 (anno pandemico) di questo gruppo sono aumentate, con l'India e Russia che hanno registrato i maggiori incrementi in termini relativi rispettivamente del 9,5% e del 7,4%.

2001 L'ANNO CHE HA CAMBIATO IL MONDO
Per capire le emissioni straordinarie della Cina bisogna andare indietro nel tempo. Dal 1970 in poi l'andamento delle emissioni resta costante fino al 1990 quando ancora gli Usa con 5.067,480 producevano il doppio di CO2 della Cina 2.425,644. L'11 dicembre 2001, esattamente 3 mesi dopo l'attentato alle Torri Gemelle a New York, la Cina entra a far parte WTO, l'Organizzazione Mondiale del Commercio e niente più sarà come prima. Con la delocalizzazione sfrenata delle industrie mondiali per sfruttare il basso costo della mano d'opera locale, la crescita del dragone cinese, ma anche tutta l'area asiatica, diventa inarrestabile. Nel 2005 dopo soli 4 anni dall'ingresso nel WTO con 6.338,438 di emissioni si verifica il sorpasso della Cina sull'economia americana ferma a 5.950,655.

Nave containers con merci dall'Asia verso i mercati occidentali
IL PREZZO IN CO2 DELLE SPEDIZIONI MARITTIME
Confronto periodo 1990-2021. Anche le spedizioni internazionali di merci attraverso gli oceani hanno registrato un aumento vertiginoso di emissioni CO2. Le spedizioni di merci hanno avuto un incremento del 47% dal 1990 (370,994) al 2021 (699,722). La "globalizzazione", che ha spostato le produzioni in Asia, ha prodotto una quantità di emissioni, solo via mare, più alte rispetto per esempio a quelle di un anno della Germania (665,88), più del Canada (563,53) e il doppio delle emissioni di un anno di CO2 dell'Italia (319,669). Il trasporto aereo ha registrato un incremento del 33,8% dal 1990 (258,944) al 2021 (390,166) con una battuta di arresto nel 2020 per la pandemia. Resta comunque che la somma del trasporto mercantile via mare (1,8%) e l'aviazione (1,0%) produce il 2,8% delle emissioni globali.

CHI SALE E CHI SCENDE DAL 1990 AL 2021 (In tonnellate metriche all'anno)
Chi sale. Le emissioni della Cina sono cresciute dell'80% dal 1990 (2.425,644) al 2021 (12.466,316) così come l'India del 77,3% dal 1990 (600,025) al 2021 (2.648,779) e il Brasile che registra un aumento del 53,3% dal 1990 (228,603) al 2021 (489,858).

Chi scende. I 27 Paesi UE con il 27,3% sono quelli che hanno diminuito di più le emissioni dal 1990 (3.819,235) al 2021 (2.774,927) con il dato attuale di 7,3% delle emissioni globali  equivalenti a 6,25 t CO2/cap in termini pro capite. L'Italia ha avuto una riduzione del 25,8% dal 1990 (430,447) al 2021 (319,669). Anche la Russia con il 18% ha ridotto le emissioni dagli anni 1990 (2.395,644) al 2021 (1.942,535), così come gli Stati Uniti del 6,2% dal 1990 (5.067,480) al 2021 (4.752,019), il Giappone del 7,4% dal 1990 (1.171,755) al 2021 (1.084,69).

Il Green Dean della Ue prevede il contestato bando dei motori termici nell'Europa entro il 2035
QUALI I SETTORI INCRIMINATI
Il totale delle emissioni CO2 al mondo è di 37.857,564 tonnellate metriche all'anno. Il principale responsabile della produzione di anidride carbonica è il settore della PRODUZIONE DI ENERGIA. Il dato dell'INDUSTRIA ENERGETICA di 14.258,81 insieme ad ALTRA COMBUSTIONE INDUSTRIALE di 7.643,48 fanno la parte da leone, segue il dato dei TRASPORTI con 8.117,46 e ALTRI SETTORI con 4.424,09 e infine l'EDILIZIA con 3.412,74.  Il dato cinese della PRODUZIONE DI ENERGIA rappresenta il 44% del totale delle sue emissioni nel 2021.

IL BANDO DEI MOTORI TERMICI IN EUROPA
In merito alle nuove direttive UE contestate da alcuni paesi UE tra cui la Germania e l'Italia sulla messa al bando entro il 2035 dei motori termici in tutta l'Europa, si possono mettere a confronto i dati delle emissioni sui TRASPORTI, che comprende anche l'automobile, di due Paesi Ue come l'Italia 92,1 e la Germania 143,45, con l'India 28,23, la Cina 955,46 e con gli Stati Uniti che con 1.647,57 sono in cima alla lista delle emissioni. La produzione di CO2 va nell'atmosfera globale quindi o è un obiettivo di tutti anche dei più grandi inquinatori o non ha senso ridurre solo in un'area circoscritta dell'Occidente.

IL VERTICE 2022 IN EGITTO
Prima nel 2015 con l'Accordo di Parigi e poi ribadito nell'ultimo vertice del 2022 Cop27 di Sharm el-Sheikl si conferma la necessità di ridurre le emissioni globali di CO2 del 43% entro il 2030 rispetto al livello del 2019. Nel documento rilasciato si parla di "auspicio" di eliminare i sussidi alle fondi fossili a favore delle fonti rinnovabili. Molti osservatori più radicali considerano questo documento "debole" perché si chiede solo la "riduzione" dell'utilizzo di carbone per la produzione di energia e non la sua totale "eliminazione". Ma determinate scelte devono essere messe in pratica da governi di vari paesi su economie diversificate e bisogna tener conto delle conseguenze reali sul tessuto sociale. La Cop 27 aveva lo scopo di attuazione delle direttive di Glasgow ma la pandemia e i rallentamenti e le crisi economiche, la guerra in Ucraina, le tensioni geopolitiche e il rischio di conflitti nucleari, hanno fatto fallire molti progetti di finanziamenti per il clima messi in campo in precedenza e allungato i tempi previsti per la realizzazione degli obiettivi. 

LOSS&DAMAGE
L'unico risultato dell'ultimo vertice è il documento Loss&Damage con l'adozione di un fondo per risarcire i paesi vulnerabili che subiscono gli effetti delle emissioni dei paesi ricchi. Ma su questo tema i grandi inquinatori del mondo si sono defilati. Gli Stati Uniti per esempio, che avrebbero dovuto sborsare 40 miliardi di dollari nel 2019 nel fondo Green Climate Fund per la responsabilità storica di aver cumulato emissioni straordinarie ne ha stanziati invece solo 7,6 circa il 19% dei fondi richiesti. Positiva anche la richiesta Europea di includere la Cina nei Paesi industrializzati, per cui far passare il gigante asiatico da "Stato ricevente" a "Stato finanziatore" della finanza climatica. La Cina col suo 33% di emissioni globali, che ambisce a tutti gli effetti ad essere considerata superpotenza mondiale, ancora oggi invece fa parte dei paesi in via di sviluppo e usa questa posizione per sottrarsi all'onere di partecipare a questo fondo Loss&Damage che tende a "risarcire" finanziariamente quei paesi poveri che subiscono le conseguenze delle emissioni CO2 altrui. Appuntamento a Dubai per il prossimo vertice Cop28.

Fonte dati "CO2 emissions of all world countries". Elaborazione Bruna Pisano©RIPRODUZIONE RISERVATA

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